Il senso del lamento
Lamentarsi costituisce in Calabria un’ontologia, uno scandire del tempo. Il lamento assolve a una funzione comunicativa, è esercizio di redenzione e assoluzione delle coscienze; è propulsore di energie nell’esatto momento in cui canta la materia inerte, morta. In alcuni dialetti il lamento si fa parola – “Guai” – intercalare a cui ci si appella per esprimere paura, riprovazione, disappunto, ma anche incredulità, sorpresa, felicità.
Si lamentavano i nostri avi greci e quelli romani, gli scrittori medievali nelle lamentationes, i provenzali coi loro planh e poi quelli italiani coi loro pianti. Ma anche i francesi nei cahiers de doléances e gli inglesi nei numerosi complaint. Per non parlare dell’epica omerica, della musica barocca e dei dipinti sacri, impregnati di pianti e cordogli. Nella Bibbia c’è addirittura un intero libro dedicato alle lamentazioni. Insomma, il lamento accompagna le vite di tutti, a ogni latitudine e in qualsiasi periodo storico.
Il Festival del Lamento vuole offrire una casa a quanti sentono impellente questo bisogno, vuole farsi aggregatore e propulsore del lamento, per smontare il mito della società basata sull’arrivare e sul farcela anche a costo di lasciare indietro chi parte da una condizione di svantaggio e che, magari, lamentandosi sta chiedendo aiuto.
Il Festival del Lamento aggrega lamentazioni private e le trasforma in pubbliche, permettendo di scoprire che poi, in fondo, il lamento è connaturato all’animo umano e che, a volte, parlando, ragionando, incontrandosi si può trovare la soluzione o, forse meglio, la compassione. In ultima analisi, il Festival del Lamento è la casa delle persone che da sole non sembrano granché ma che insieme diventano qualcosa di nuovo.